LIBRERIA UBIK, Via Adige 2 – MONTEROTONDO (Roma).
A Monterotondo arrivo in treno. E’ un pomeriggio di sole e, per il gusto di scalare il monte, ho rinunciato al passaggio che mi offriva la libreria (“Se è rotondo…” ho pensato), così carico lo zaino in spalla e cammino. Questa cosa di andare a piedi incontro o intorno alle emozioni letterarie è quasi un rito. Sei anni fa scesi alla stazione Termini per firmare il primo contratto con E/O e trascinai il trolley per cinque chilometri, solo per allungare il momento. E alla firma del contratto per Bellissimo, dopo una cena di settembre in Piazza Navona con l’editore, conservai il biglietto del tram in tasca e vagai a piedi per tre ore nella notte romana.
Mi presento così anche alla Libreria Ubik, che è una macchia arancione – la vetrina è tutta per Bellissimo – ai piedi del borgo vecchio, ma traboccante di gioventù ed energia: dentro fanno tutto tre ragazzi che dimostrano meno di trent’anni e tira un’aria fresca, di libertà e passione. C’è Emiliano Di Gregorio, che ha baffi da uomo su un viso da adolescente; c’è Giulia Cavallini, che sull’asfalto fuori dalla libreria ha disegnato una chàcara con gessetti colorati; e poi c’è Chiara Calò, che ha letto il romanzo due volte e mentre me ne parla, mentre lo presenta alla gente senza misurare le parole, mi porta dentro la sua nuvola, dove c’è la storia che ho raccontato, e mi ci fa immergere e poi smarrire.
Le è piaciuto così tanto e lo racconta così bene che vorrei alzarmi per sedermi in mezzo al pubblico, composto di sole donne, per ascoltarla e basta. Poi invece raccolgo la voce, faccio quello che devo fare, e mentre osservo questo gruppo di signore assiepate sulle seggiole davanti a me ancora mi sovviene la scena di Clarabella Sanchez e delle massaie raccolte insieme nel piazzale dei Moya. E penso che non ce la farò mai a scrivere quel libro sul calcio che vorrei scrivere un giorno: perché se Mèrida è femmina anche l’Italia che legge sembra esserlo e la Monterotondo che legge certamente lo è. Mi ascoltano con lo sguardo delle madri e delle sorelle dalla prima all’ultima frase.
E’ tutto talmente femminile e delicato e intenso che finisce troppo in fretta. Poi Chiara Calò dice: “Ti inviterei a cena ma ho un impegno importante”. La guardo: “Ma no, figurati”. Esco, faccio mezzo chilometro e sento squillare il telefono. E’ Chiara. “Non è vero” dice. “E’ che stasera c’è Juventus – Barcellona”. Allora penso che invece una speranza c’è, di scrivere quel libro sul calcio, prima o poi. Finiamo a mangiare in un posto dove al muro sta appesa una televisione con la partita e per tutta la sera parlo di letteratura guardando Chiara Calò che guarda la Juventus con la stessa passione con cui raccontava del romanzo, anzi di più. “Bellissimo” dice a un certo punto, riferendosi al fantasista bianconero Dybala. Poi la partita finisce. “Dov’eravamo rimasti?” sospira.

Sull’asfalto fuori dalla libreria ha disegnato una chàcara con gessetti colorati.
PUNTATE PRECEDENTI:
1. Come una famiglia.